Set 052012
 

MACADAMIA ARTE GIOIELLI news.
Carissimi Macadamia fans,
eccoci qui con le  ultime novità.
Macadamia ha assunto un nuovo collaboratore che si chiama Mister Macadamia.
E’ un signore che ho conosciuto on line (non datemi per matta) che mi ha subito incuriosito per il nome.
Ebbene, ci siamo conosciuti e….gli ho proposto di fare parte della squadra!

Qui sotto trovate i links ai video che si autoproduce…tanto per farvi capire il personaggio:)) 😀
Questo signore tra l’altro sostiene di aver sentito parlare del codice di Macadamia (che voi conoscete benissimo, il Sweet Secret Code), già da tempo e pensate un po’..in Egitto!
Mah, insomma sembra che noi si faccia parte di una storia al confine tra il magico e l’incredibile…
E, sì…perché se è vero quello che dice Mister Macadamia, il codice veniva usato per riti benauguranti..di sicuro effetto!
Chissà, sarà vero?
e questo tipo qui con la maschera, avrò fatto bene a farlo lavorare con me??? che dire…amici….vedremo!
Vi abbraccio
Valentina

Video di Mister Macadamia







Set 052012
 

Luciano Secchi ci omaggia di un altro delizioso racconto che io sono felice di condividere, eccolo:

Camminavo da mezz’ora sotto il sole che batteva incessantemente e provavo una sorta di sadico piacere nel vedere la mia fronte grondare di sudore e i miei occhi stralunarsi.
Avevo preso quella che ritenevo una scorciatoia, una strada biancastra, coperta di ghiaia, molto irregolare, senza un filo di verde attorno. Una strada che, in realtà, aveva allungato il mio cammino. Ormai ero quasi allo stremo, miravo in lontananza una macchia verde scuro, la mia meta. Non vedevo l’ora di allungarmi sotto un albero riparato dall’ombra e ristorato dalla frescura delle foglie.
Improvvisamente vidi una baracca. Era forse qualcosa di più, ma calzava a pennello in quel paesaggio desolato che si era scoperto ai miei occhi. Era una trattoria, almeno così diceva l’insegna. Fuori vi erano pure dei cartoni arricciati e sbiaditi che lasciavano immaginare una remota pubblicità di bibite. Vi erano anche due alberi fioriti. Un sorriso allargò il mio volto. Sedetti all’ombra di una pianta, infilando le gambe sotto un tavolo scalcinato, poggiandole sopra una sedia non da meno.
Mi passai per l’ennesima volta il fazzoletto attorno al collo, ci feci un nodo e lo tenni lì. Alzando gli occhi vidi, poco distante da me, seduto a un tavolo, un vecchio signore dalla barba lunghissima, la cui estremità si era attorcigliata alla gamba del tavolaccio. Poggiava le mani su un bastone intagliato grossolanamente e aveva lo sguardo fisso all’infinito.
Gli sorrisi, ma non mi vide o non volle vedermi. Alzai le spalle. Ero così contento di avere trovato l’ombra e il verde dietro la catapecchia che tutto il resto non mi interessava. Attesi pazientemente che il trattore o un cameriere si facesse vivo per prendere l’ordinazione. Passò il tempo. Il sole calò, venne la sera, poi la notte e il mattino seguente. Ancora nessuno si era visto. Il vecchio era nell’identica posizione e io ero ancora al mio posto.
  – Scusi – azzardai, – il servizio qui è un po’ lento o sbaglio?
  – Non sbaglia, giovanotto – bofonchiò la voce del maturo personaggio.
Poi più niente. Passarono diverse ore, il sole che prima era ancora timido, divenne sempre più spavaldo e colpiva violentemente la terra con i suoi raggi. La gola era secca e incominciavo a sentire il bisogno di bere qualcosa di fresco.
  – Scusi – tornai ad azzardare, – hanno bibite ghiacciate qui?
  – Ne ho ordinata una anch’io – tornò a bofonchiare la stessa voce del medesimo maturo personaggio.
  – E da quando? – stavolta ero lanciato, visto che si era all’imbrunire.
  – Oh, da tanto! – concluse l’interrogato.
Calò il sole. I grilli cominciarono a frinire. Si era alzato un leggero vento e avevo meno sete, ora, ma la gola mi doleva.
  – Pensi che quando sono venuto qui a chiedere una birra, mi ero appena laureato – era la voce dell’attempato cliente che rompeva il brusio della natura in fermento.
  – Sì? – l’incoraggiai, non senza fatica per la gola riarsa.
  – Sì – riprese il vegliardo. – Era una bella giornata calda, come quella dell’altro giorno, quando siete arrivato qui. Mi ero seduto e avevo ordinato una birra a Carlo, il figlio del trattore, della mia stessa classe. Avevo sete e attendevo impaziente, ma il tempo passò lento e inesorabile. Carlo si sposò, ebbe un figlio, partì per la guerra e morì al fronte. Gigino, il figliolo, mi disse di attendere, di avere un po’ di pazienza che sarebbe venuto subito a servirmi. Ma andò all’università, poi in città e lasciò solo il nonno che era molto vecchio e non aveva molta voglia di tirare ancora avanti la carretta.
Il mio compagno d’attesa parlava senza sosta, come se avesse atteso da chissà quanto di parlare con qualcuno, e io lo ascoltavo interessato senza interromperlo.
  – Morto lui, andò avanti il cugino Cesare che già aveva avuto un bar, senza tuttavia apportare migliorie al servizio dei clienti! Cesare è morto l’anno scorso. Suo figlio, che è piuttosto in gamba, si occupa di tutto. È un buon figliolo e sono convinto che tra non molto esaudirà la mia richiesta.
Era già l’alba. La natura si risvegliava, riprendeva la vita della luce e cessava quella delle tenebre. Guardai in faccia il mio interlocutore che ora taceva, aveva gli occhi fissi all’orizzonte, ma il suo viso mi sembrava più scavato e la barba ancora più lunga.
Non saprei dire quanto tempo passò da quel colloquio che rimase l’ultimo, avendoci il silenzio stretti, legati e avvinghiati; ma finalmente apparve un cameriere.
Quando uscì dalla porta, mi sembrava piuttosto giovane e lesto, ma, man mano che si avvicinava mi pareva che invecchiasse e si incurvasse sempre più.
Sì fermò davanti al tavolo del barbuto uomo e, con voce malsicura, chiese: – Il signore aveva ordinato una birra ghiacciata?
  – Sì.
  – Mi spiace, signore, ma le abbiamo finite.
Il vecchio sbuffò, raccolse tutte le restanti forze, si alzò a fatica appoggiandosi al bastone e se ne andò mugugnando: – Poteva dirmelo prima!

© copyright 1970-2012 by Luciano Secchi. Riproduzione autorizzata.

Giangiacomo passava di lì tutti i giorni. Si fermava e riempiva i polmoni del profumo che veniva dalla finestra della cucina, poi spiaccicava il naso contro il vetro dell’ingresso del ristorante per cercare di vedere chi fossero i fortunati che potevano permettersi l’accesso in un locale del genere. Ma il vetro smerigliato e le tendine gli impedivano di vedere qualcosa di più che non delle sagome sfuocate che si muovevano dilatandosi nelle venature della ricca vetrata.
Ma aveva sentito parlare parecchio di quel ristorante che aveva un nome particolare, semplicemente “Il ristorante” e che ospitava solo gente di alto rango, non tanto per quanto potesse concernere un’educazione o un casato, ma solo il conto in banca.
Al bar, con gli amici, nelle lunghe sere d’estate si favoleggiava intorno a questo ristorante e ai conti che si pagavano e diventava inevitabilmente il discorso preferito di coloro che il locale lo avevano visto solo di fuori.
– Un mio amico che ha un cugino che fa l’autista per un signore, ha un fratello che è stato là a mangiare. Dice che è costato un occhio della testa. Cosa che solo pochissime persone possono permettersi.
– Uhm, non è molto democratico però!
– Se vuoi ti lasciano entrare. Basta che tu paghi. Quanto non lo si sa, non hanno mai esposto la lista sulla vetrata.
– Ma cosa credi che sia? La mensa dei dopolavoristi? Quello è il ristorante di chi è arrivato, come la Rolls Royce è la macchina dei miliardari. Lì non ha importanza quello che si mangia o quello che si paga, basta poter dire di esserci entrati.
Giangiacomo provava una stretta al cuore al pensiero che lui, forse, non avrebbe mai potuto entrare in quel ristorante così lussuosamente dispendioso e confidò la sua pena alla sua ragazza.
– Noi non potremo mai andare là dentro, mai. Con quel poco che guadagni tu e con quel niente che guadagno io, mia cara Graziella non potremo mai permettercelo.
– Certo che se invece di lavorare io sola per costruire il nostro avvenire, anche tu mi dessi una mano, sarebbe una faccenda più celere e chissà mai che allora una puntatina in quel ristorante…
– Lavorare, lavorare, è una parola. Basterebbe dirlo che subito zac. Ma non sai quanti disoccupati ci sono al mondo? Tanti eh? Ebbene io sono uno di quelli.
– Non ti offendere, caro, non volevo urtare la tua suscettibilità e il tuo amor proprio! So come soffri a essere nella tua condizione, scusami.
– Ah, beh… adesso sì che ti riconosco come la mia pettirossa. Poi prendo il sussidio, no?
– Ah, sì,  è vero… certo che non è molto elevato, comunque…
Il ragazzo attirò a sé la sua ragazza, la strinse con tutta la forza che aveva in corpo e appiccicò le sue labbra violacee su quelle rosa-pesca della fremente fanciulla. Dopo una breve estasi, sospirò e aggiunse speranzoso:
– Cara, vedi di fare delle economie o dei lavori extra in ufficio. Dobbiamo andare in quel ristorante, dobbiamo.
– Sì, sì caro, tutto quello che vuoi tu per farti felice, per essere noi felici, tutto quello che vuoi.
Graziella fu di parola, lavorò alacremente, incessantemente, trascurando ogni qualsiasi esigenza che potesse essere considerata superflua. Riuscì a economizzare una discreta somma e alfine poté dire col cuore gonfio di gioia:
– Giangiacomo, domani puoi portarmi a “Il ristorante”, ho messo via i soldi sufficienti.
– Ma no! Sul serio? Ci sei riuscita! Ma che brava! Vieni qui tra le mie braccia che ti do un bacio da mozzarti il fiato.
– Oh ma che brutte rughe hai sul viso e la pelle, un po’ sciupatina eh? Sarà bene che usi un bel po’ di cerone domani! Non vorrai farmi sfigurare, spero!
– No, no caro, stai tranquillo. Vedrai che tornerò bella come non mai… è che ho dovuto tralasciare il trucco e la cura del viso, del mio corpo, per lavorare, altrimenti come avremmo potuto…
– Oh adesso non incominciare a fare la classista perché hai la fortuna di avere un posto di lavoro, so già tutto, quindi è bene che non ti immoli nuovamente.
– Ma caro io non volevo fare la martire, ma solo spiegare perché io…
Ma Giangiacomo non la sentiva, era seduto su una nuvola e si alzava leggero leggero nella nebbia tagliata da strisce di raggi di sole. Stava per sorpassare la linea fatidica che aveva sempre agognato: finalmente anche lui sarebbe andato a “Il ristorante”, avrebbe mangiato lì.

*****

La porta fu aperta dal portiere gallonato che, con un inchino molto profondo, salutò la coppia scappellandosi.
– A nome della direzione, porgo il benvenuto ai signori.
– Ehm grazie, grazie…
– Il guardaroba è di qua, prego.
Un cameriere in livrea di velluto amaranto con risvolti viola si era fatto incontro a Giangiacomo e Graziella che, senza darlo troppo a vedere, roteavano le palline degli occhi per abbrancare più visuale possibile del locale.
– Ah, sì… grazie.
– Fanno cinquemila denari a capo, si paga in anticipo.
– Ah, sì, naturalmente, ecco qua, sei, sette… otto, nove e dieci.
Il maître si fece loro incontro scoprendo una fila di denti bianchissimi e perfetti, buon prodotto d’odontotecnica artigianale, che, con sussiego, li introdusse nella sala da pranzo più lussuosa che ci potesse essere mai stata. Broccati, alamari, tappeti persiani, bukara, gemme, gioielli, oro e argento si sovrapponevano con i loro colori tanto da creare un’unica massa che confondeva chiunque puntasse gli occhi attorno per la prima volta.
– I signori si accomodino, ora portiamo il coperto. Loro usano tovaglioli, nevvero?
– Eh? Ma sì, sì certo, caspita, ci mancherebbe…
– Molto bene, ecco due tovaglioli, sono duemila denari l’uno, si paga in anticipo.
– Eh? Ah, certo, certo, ecco quattromila denari.
– Immagino che vorrete mangiare con le posate d’argento, vero?
– Ah, senz’altro! D’argento o non mangiamo.
– Mi fa molto piacere, perché ne abbiamo di certe che sono un bijou, roba da far rimanere secchi. Si dice che Napoleone Bonaparte le abbia usate prima di partire per l’Elba.
– Ah, interessante.
– Fanno venticinquemila denari pro capite. Una cifra irrisoria, vero? D’altronde la direzione non vuole speculare sulle rifiniture.
Graziella guardò Giangiacomo arrossendo. Questi porse i cinquantamila denari e fissava preoccupato gli occhi della compagna di desco.
– Ehm Giangiacomo io… io ho solo…
– Ho capito, ho capito!
– Ah, dunque allora, adesso vediamo un po’. Bicchieri di Boemia, tutti lavorati con firma di autore su ogni bicchiere, oppure preferiscono qualcosa di più moderno, magari non molto estroso?
– Mah, non saprei, bisognerebbe vedere un po’.
– Ma certo, ma certo… Filippo, porta qui il campionario dei bicchieri… Ecco, guardi pure, facciamo scegliere alla  sua signora? Quale desidera?
– Beh, ecco quelli lì, gialli, no, quelli sono arancioni, quelli gialli, sì, ecco quelli lì.
– Ah madame, mi complimento per il suo buon gusto. Una scelta veramente di classe. Sono i migliori bicchieri che abbiamo. Trentacinquemila denari al servizio.
Lui sudò. Lei pure. In tanto tempo che si conoscevano i loro occhi non erano stati mai così loquaci. Pagò!
– Come piatti, cosa preferiscono?
– Ah, ecco sì, ci dia la lista che ordiniamo subito!
– Ma no, cos’ha capito, signore? Non vorrà dirmi che la sua estrosità la porta a mangiare sulla tovaglia. È severamente proibito qui. Ci sarebbe una multa di centomila denari. No, no, io mi riferivo ai piatti, ai contenitori del cibo. Preferisce ceramica, terracotta smaltata, argento, oro, platino laminato, o che?
– Mah, veda un po’ lei.
– Molto bene, signore, allora visto che avete scelto quei bicchieri, non possiamo fare a meno di prendere i piatti di platino. Eh, sì, costano un po’ ma che sciccheria, che lusso, complimenti ancora signora…
– Quanto sarebbe?
– Eh, quarantacinquemila denari cadauno, signore, ma creda, li valgono.
Giangiacomo riusciva a malapena a trattenere l’ira che lo aveva invaso tutto. Tirò fuori il denaro e si accertò, come temeva, di non averne più. Tutto quello che la sua fidanzata gli aveva dato era già stato speso senza neanche vedere il menù.
– Ecco tenga, ce ne andiamo. Ci è passato l’appetito.
– Ah, i signori soffrono di inappetenza! Che peccato. Avremmo comunque un ottimo aperitivo, da prendere in altri bicchieri, s’intende, che…
– No, no, lasci perdere, abbiamo un appuntamento.
– Ah, bene, signore come desidera, deve pagare il coperto, la percentuale e le marche signore, sono ancora diecimila denari.
– Ecco… a lei, è l’ultimo.
– Bene, ora possiamo andare.
– Certo signori, buona sera… Ci auguriamo di rivedervi presto ehm… presto ehm… presto ehm…
– Beh, che c’è ancora?
– La mancia signore, non è d’obbligo, ma lei capisce…
Stavolta il cliente non riuscì a trattenere una grossa imprecazione che destò stupore e indignazione nel capo servizio del ristorante.
– Signore, sono sconcertato, parole siffatte…
– Ne sentirà delle altre, se non si scosta subito.
Prendendo per mano la sua infelice compagna, Giangiacomo uscì dal locale trascinandosela dietro.
Il maître, alcuni camerieri e il guardarobiere osservarono quasi disgustati la scena.
– Inaudito! Speriamo che non ritornino più! Quelli sono i clienti che rovinano la buona reputazione di un locale.

Luciano Secchi

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